1 Febbraio 2021

Sentenze definitive

Era marzo, e ovunque in loop giravano immagini e notizie drammatiche sulla situazione sanitaria, e quella richiesta disperata di medici mi rimbombava nelle orecchie.
Io ero un medico.
Ed ero a casa a fare quasi nulla.
Io sono ancora un medico. L’affermazione mi è arrivata addosso inaspettata nella sua chiarezza. Insieme alla decisione che ne era diretta conseguenza.

Ma con quali parti di noi ci confrontiamo in profondità in momenti come questi? Con quanti personaggi interni?

Sono corsa a rispolverare i vecchi libri di medicina per ritrovare nozioni, gesti e conoscenze sepolte, e intanto provavo a farmi un’idea di ciò a cui andavo incontro attraverso i pochi articoli già pubblicati su questo SarsCov2, e sulla malattia che causava. Poche certezze e nessun protocollo, solo tanti sperimentali, drammatici e anche creativi tentativi per affrontare la situazione. Tutta questa ricerca sull’ignoto di un virus dal meccanismo fisiopatologico ancora sconosciuto mi coinvolgeva e affascinava.
“Affascinante? Tu non ti rendi ancora conto! Lavorerai come medico Usca, che già di per sé è un nome oscuro e poco rassicurante. Molto comoda la fascinazione davanti al pc, mia cara! Ma tu farai visite domiciliari a pazienti Covid. Non ne sai ancora molto di più, ma questo dovrebbe dirti già qualcosa”.
Ho lavorato anni come medico di famiglia e in guardia medica e sapevo bene quanto quei pochi momenti a casa di una persona sconosciuta siano un condensato di parole ascoltate e da dire, gesti e decisioni da prendere. Incontri spesso fugaci ma densi e complessi di pensieri, di emozioni e relazioni.
E lei era tornata. C’era da aspettarselo, in effetti. Incapacità, rievocata come fantasma indesiderato ad una seduta spiritica e di nuovo viva come un tempo. Sapevo già cosa avrebbe detto ancora. “Ti troverai da sola. E allora cosa farai?”.
“E se sbagli? E se non saprai cosa decidere? Avrai voglia di scappare, ma non potrai” Lo so. Era vero. Era la sua fedele compagna a parlare, La mia folle paura di sbagliare. L’avevo riconosciuta subito. E sapevo anche che non sarebbero bastati tutti quei libri a far tacere il suo ritornello.
Il caos nella stanza stava aumentando: “Sicura che sia stata la scelta giusta? Non era meglio starsene ferme e tranquille?”, “Sì, ma lei è un medico. Non può certo fare finta di niente e nascondere la testa sotto la sabbia in una situazione come questa”. Dubbio e Senso di colpa si interrompevano urlando facendomi salire il mal di testa.

6 anni fa avevo svuotato la borsa da medico e infilato in un cassetto il fonendo e lo sfigmomanometro. Il resto lo avevo regalato. Non mi serviva più.
Medico e psicoterapeuta erano due ruoli troppo distanti e ormai per me inconciliabili.
Entrambi i compiti mi mettevano alla prova, l’impegno emotivo era tanto, richiedevano tanto studio e, per essere fatti bene, altrettanta cura di me. Tutto insieme era troppo.
Avevo scelto, senza dubbi, di investire sulla psicoterapia. Avevo anche scelto, con più difficoltà, di lasciare per sempre l’altra mia anima.
Non farò più il medico. Sentenza definitiva.
E ora le fatiche ben note di allora stavano tornando a galla.

Quante volte nel corso della vita ci ritroviamo a confrontarci con parti scomode, dolorose e dolenti che fanno intimamente parte di noi? Sentimenti profondi verso noi stessi che magari per anni se ne sono stati anche abbastanza buoni e tranquilli e poi tornano all’improvviso a trovarci. E quanto è forte il desiderio che tornino da dove sono venuti?

“Io non sono la stessa persona di dieci anni fa”. E’ un pensiero nato sottovoce. Piccolo, irrilevante, quasi trasparente in mezzo a tutto quel caos. Ma io so, per me stessa e da terapeuta, quanto conti il lavoro su di sé, quanto sia fondamentale, anche per poter dialogare in modo diverso con gli stessi fantasmi di sempre.

“Io sono cambiata, non so quanto in realtà, ma so per certo che in qualche modo sono cambiata”. Gliel’ho detto. “Non lo so come affronterò tutto questo, e l’ignoto mi spaventa. Certo. Come sempre. Ma ora qui c’è anche la Curiosità di scoprire chi sarò ora in questi panni, e come ci starò. Ha aperto le finestre, e finalmente si respira”.

Non potevo sapere come sarebbe andata mentre uscivo di casa per il primo turno Usca.
C’era il sole e nessuno per strada.
Avevo le ginocchia che tremavano un po’ e nel cuore la sensazione forte che la vita è davvero capace di prendersi gioco delle nostre sentenze. Soprattutto di quelle definitive.
È stato l’inizio di un’avventura potente e trasformativa da molteplici punti di vista. Con incontri ed esperienze che credo di aver bisogno di depositare in me. E che credo sarebbe bello se riuscissi prima o poi anche a raccontare.

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