Appena imparato a mettere un piede davanti all’altro, la sua marcia era stata spedita.
“Dove corri, Margherita, dove corri?”
Per non sbilanciarsi, accelerava. Sempre un po’ di più.
“Lo sai che così cadi!”
In effetti inciampava.
“Hai visto? Te lo aveva detto la mamma!”
Scusa mamma.
“Dai, ora dammi la mano”
Lei appoggiava le ginocchia a terra, puntava un piede per darsi la spinta e appena dritta le gambe riprendevano a muoversi veloci.
“Chi va piano va sano e va lontano, bimba mia. Siediti, almeno mentre mangi”
E ci provava a non correre mentre addentava il pane burro e zucchero. Ma le sue gambe non volevano saperne di fermarsi. I piedi vorticavano finché lei non saltava giù dalla sedia e si metteva a correre per la cucina. Sotto al tavolo, davanti ai fornelli, finché cadeva davanti al grembiule di nonna.
Scusa nonna.
Con gli anni aveva imparato a non cadere.
Ma continuava a correre mentre andava a scuola, e ripassava gli Egizi e la formula dell’area del cerchio, e correva mentre ritornava a casa con Clara che le ansimava accanto.
Aveva provato a rallentare per ascoltare l’ ultima avventura del cuore della sua migliore amica.
Due tre, passi lenti, quattro cinque dieci.
Ci stava riuscendo.
“Mi stai ascoltando?”
Undici. Il bacino si sbilanciava in avanti. Dodicitredicicinquindiciventiquattro.
Scusa Clara.
“Sono solo quattro mesi. Che fretta hai?”
Scusa Marco.
“Sei brava, promettente. Sicura di volertene andare?”
Scusa capo.
“Quante vite hai vissuto?”
Quella mattina di inverno come tutte le altre Margherita si era svegliata, si era seduta al bordo del letto, aveva infilato i piedi caldi nelle ciabatte. Prima uno. Poi l’altro.
“Quante cose hai attraversato?”
Aveva visto i suoi piedi ormai freddi sfilarsi dalle ciabatte e infilarsi di nuovo sotto al piumone ancora tiepido. Prima uno. Poi l’altro.
“E se ti guardi indietro?”
Aveva visto il suo intero corpo seguirli nel letto.
Non era tempo di bilanci.
Scusa, Margherita.
“E guai, non fate bilanci quando siete tristi, per i bilanci aspettate il buonumore, una panchina accanto al fiume, una focaccia da mangiare, né troppa ombra né troppo sole”.
(Enrica Tesio)
A Chiara. E Umberto.